Umani, transumani, disumani

Torno a casa felice dall’ufficio, perchè a casa rivedo Giotto, un essere innocente che – pur essendo solo un gattino – mi sembra la cosa più umana che possa incontrare di questi tempi.
Ho appena lasciato un ufficio in cui mi occupavo di robotica e, occasionalmente, di intelligenza artificiale. Ho percepito un’idea di futuro prossimo che non mi piace. Ma attenzione, non mi spaventa tanto il transumano, che in fondo è un umano potenziato. Mi spaventa il disumano, che è la negazione dell’umano e che si annida dietro gli apparati, che siano tecnologici, politici, economici, produttivi e che crea e si serve di gerarchi efficienti e bravissimi. Bravissimi a distruggere quel poco di umano che resta.
In nome dell’efficienza, della produttività, della sicurezza, del decoro, della velocità, della comodità, del profitto si abdica all’umanità e si elegge a leader la mano invisibile, l’algoritmo, l’azienda, che non hanno sentimenti, non hanno empatia e quindi non hanno a cuore il futuro, il futuro di niente.
Mi spaventa il disumano dei torturatori senza coscienza, e di chi li sostiene e di chi si rifugia in un comodo silenzio; il disumano di chi dichiara guerre e tratta i popoli come merce, il disumano di politici e di manager guidati solo da interessi personali bassissimi, di chi crea nuovi campi di concentramento per persone senza colpa, di chi crede che l’equità e l’inclusione siano pericoli da cui guardarsi, di chi fomenta poveri contro poveri, di chi ha patrimoni miliardari e non si occupa del benessere degli altri.

Non dobbiamo guardarci dal transumano, ma dal disumano che può corromperlo e usarlo in una follia distruttiva che abbiamo già sperimentato in varie epoche. Ma oggi che anche la memoria latita mi sembra che ci sia rimasto solo un modo per difenderci: individuare la bontà e promuoverla, ovunque essa si trovi. Un’alleanza che fortifichi una visione del mondo diversa, che consideri l’altro come emanazione di sè e, in quanto tale, essere da curare e preservare, che sia umano, animale o minerale.

Intervista a Paolo Benvegnu per PopOn (maggio 2009)

Si intitola 500 il nuovo lavoro discografico di Paolo Benvegnù, e per una volta abbiamo deciso che vale davvero la pena farsi qualche chilometro per andarlo a sentire dal vivo. È così che – poche ore prima del concerto – lo incontriamo nel backstage per una lunga e interessante intervista, “disturbata” da qualche fan che si avvicina per dichiarare la sua ammirazione. Paolo Benvegnù, già fondatore degli “Scisma”, musicista raffinato, straordinario interprete e produttore di talenti, è oramai un “maestro” della musica indipendente italiana. Ha un sorriso e un abbraccio sincero per tutti, si ferma volentieri ad ascoltare chiunque e scopriamo che la rabbia “sociale”, espressa così bene nelle sue canzoni, è solo l’altra faccia di quella serenità personale che sembra oramai aver raggiunto. Con lui parliamo del nuovo disco, della sua esperienza nel progetto “Il Paese è reale”, delle difficoltà della diffusione della buona musica, ma su tutto trapela la sua schiettezza senza riserve. Quella che restituisce all’aggettivo “indie” il vero significato di musica libera, pura, senza compromessi.

Paolo, gli EP stanno diventando sempre più diffusi? Perché anche tu hai scelto di far uscire un Ep e non un CD? Le ragioni sono tante. La prima è che i dischi sono come il libri: in un libro puoi passare una storia, però ci sono altri racconti che sono corollari della storia. Quello che abbiamo fatto nelle ultime produzioni è stato proprio costruire un corpo centrale prima e poi tutto il resto. Ci stiamo pensando anche per quando ristamperemo “Piccoli fragilissimi film”. Il futuro dei dischi è quello, una raccolta di brani, una serie di racconti.


Sei anche un lettore?

Non accanito, perché non ho molto tempo, neanche per dormire. In questi anni mi sono sfinito molto, ho fatto dischi, tante collaborazioni, ho prodotto dischi di altri, ma soprattutto ho impiegato il mio tempo nel cercare l’amore, l’amore assoluto, in me stesso e nelle persone. Quello che ho fatto e che faccio nei rari momenti liberi è passare del tempo con le persone che penso possano rappresentare questa cosa.

Come dice Ermanno Olmi: “c’è più verità in un caffè con un amico che in tutti i libri del mondo”

Eh già. Io ho bisogno di vita vissuta, perché tanta l’ho immaginata, per questo ora sono sul territorio.

In che senso l’hai immaginata?

Nel senso che il mio excursus è quello di una persona che ha sempre immaginato al vita, l’ha subita. Se non sei l’attore principale della tua vita, giocoforza non respiri il senso, l’essenza. Quello che sto facendo da dieci anni a questa parte è vivere ogni istante come se fosse l’ultimo. Ci ho messo tanti anni prima di comprendere questa cosa. Dai trentacinque anni ai quarantaquattro; questi nove anni hanno bruciato le tappe nel mio sentire. Diciamo che io sono nato a 35 anni. Sì, ho fatto tante cose prima, con gli Scisma, ad esempio! Ma se guardo quella vita è una vita “per mediazione”: ero contento di stare con delle persone, di fare delle cose, ma fondamentalmente ero da un lato il carnefice della mia vita, cercavo di negarla la vita.


Anche oggi, come con gli Scisma, non ti presenti solo, ma come gruppo, “I Paolo Benvegnu”. La tua dimensione è nel gruppo? Hai il problema di affrontare il pubblico da solo?

(ride, ndr) Con gli Scisma sì, c’era un problema: non avevo il coraggio di affrontare tutto in prima persona. Coi Paolo Benvegnù il discorso è diverso: io scrivo la maggior parte dei brani e li canto, ma non avrei questo colore senza le persone che suonano con me. È una condivisione. In questo i Paolo Benvegnù sono più “gruppo” degli Scisma. Gli Scisma procedevano per obiettivi, nel nuovo gruppo invece l’obiettivo unico è la gioia. Quello era un gruppo di persone che non sapevano che fare della vita e il “gruppo” gli ha fornito un senso; i Paolo Benvegnù, invece, non si vedono sempre, ma quando si vedono hanno un’armonia unica, hanno un’energia… che va verso la gioia.

Obiettivo è la gioia. È questo allora anche il senso della frase di 500: “non era un sogno, e tutto ciò che devi conquistare”?

Sì è tutto lì. Per me è personalmente importante! Mai come in quel pezzo sono riuscito a capire una cosa di questa vita meravigliosa, tormentata, avventurosa che ho avuto. E cioè “cosa c’è di più bello di più, incredibile saldo,… se non essere al centro di ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà”, ma con grande tranquillità, tutto questo scostato dall’ego, da me come centro.

C’è qualcosa di nuovo nella tua vita. Cosa è successo?

La consapevolezza. Sono passato in mezzo al dolore. Ci sono tanti tipi di dolore, come nell’amore, no? C’è quello filiale, quello materno, quello erotico.. Così anche il dolore. Io sono cresciuto in una famiglia in cui il dolore era allevato. Parte da lì il mio percorso: una persona piena di dolore…che si trasforma in una persona piena di gioia.. be’ è un bel percorso!

Quali sono le tappe più significative di questo percorso?

La prima l’approfondimento del dolore: la gioia si comprende molto attraverso quello. Non necessariamente bisogna passare attraverso il dolore, ma aiuta, paradossalmente. Quando è morto mio padre è stato un momento importante, non avevo nemmeno diciotto anni. Da allora la mia vita è cambiata completamente: ho dovuto imparare a vivere un po’ da solo, anche se ho sempre cercato di stare insieme a qualcuno. Il secondo momento significativo coincide con un altro distacco: dieci anni fa dal lago di Garda, il luogo dove c’era la mia famiglia e le altre mie famiglie (gli Scisma e la famiglia della persona con cui sono stato per tanti anni, Michela). Da quando mi son staccato da lì ho fatto tutto quello che potevo fare per diventare il più idiota o il più sano possibile e quello che è successo è che sono diventato completamente folle, ma mai così sano!

Te ne compiaci?

No, no. Non è che me ne compiaccio; è oggettivo: veramente son matto! Nel senso comune, generale del termine. Perché uno dovrebbe fare quello che faccio io? Ad esempio perché uno non si deve far pagare per fare la produzione di un disco? Chi lo farebbe? Oppure, un altro sintomo è che mi sveglio la mattina e sono già felice. Chi vive questi stati? I matti, no? Ma poi chi sono i matti? Dino Campana, ad esempio, cosa aveva che non andava bene? Che si faceva le seghe sulle colline del Casentino? Ma ha mai fatto male a nessuno? Ligabue (il pittore) ha mai fatto male a qualcuno? No, eppure sono stati internati.Credo di essere folle, lo noto ogni giorno, in giro. Parlo della fisiognomica: quante persone bloccate ci sono? Io ne vedo otto su dieci. Se entro in un negozio e vedo che la commessa è una bloccata, o vado alle poste e vedo in fila persone chiuse, bloccate, io vedo che gli altri mi guardano come un matto. Forse

Il nuovo arrangiamento di “nel silenzio” deriva da questo nuovo stato di folle serenità?

Forse sì, era precognitivo. Quel pezzo all’inizio non mi raffigurava molto. Poi in un anno si è dimostrato vero, un pezzo precognitivo. Per questo l’ho ripreso. E il senso di separazione netta l’ho stemperato, forte di un’esperienza che ho avuto di recente.

Parli d’amore e di sentimenti, ma nelle tue canzoni prendi anche posizioni più politiche, come nel bel pezzo che hai dato a Manuel Agnelli per l’antologia “Il Paese è reale”, “Io e il mio amore”.

Sì, è un brano molto in linea con la canzone degli Afterhours. Ma anche quello di Marco Parente affronta l’argomento, in maniera diversa ma molto forte. Lui dice: “quel che dico può bruciare”, che è anche una domanda che si pone  “quanto può bruciare quello che dico?”. Ecco Marco è un avvisatore.

Ma come mai i più coccolati dalle major, invece, non prendono posizioni?

Me lo chiedo anch’io. Perché non lo fanno? Uno che scrive canzoni, è un custode un avvisatore della società. Chi scrive canzoni scrive per avvertire, pungolare, svegliare…Chi non ha una major alle spalle, inoltre, ha grossi problemi nell’esprimersi, perché quando non hai i mezzi per sostentarti fai compromessi con te stesso e fai anche autocensura. Io l’ho fatta. Ma facendo così ti poni centrifugo e ti auguri che qualcuno se ne accorga; oppure devi fare il monaco; in Italia per scrivere canzoni e essere etico devi essere monaco. Io lo sono un po’.
Invece i grossi nomi vivono in altro mondo. Per dirti: metti conto che io sono un regista indipendente e vivo ogni giorno una realtà difficile, guadagnando trenta euro al giorno. Devo guadagnarne cinquanta, venti li metto da parte e poi finalmente quando ho fatto un gruzzolo posso produrre un film, un film che parla della mia realtà appunto, che racconta che pranzo con un trancio di pizza che costa un euro e trenta, che non mi permetto niente, né un viaggio né una giornata la mare. Come puoi pretendere che Salvatores faccia un film così? E’ lo stesso motivo per cui Christian De Sica è Christian De sica. Tuo padre è Vittorio De Sica, tu ti svegli la mattina, hai cinque anni e a casa tua c’è Totò. Ti abitui a questa vita. Pensa Roberto Benigni! Se la mattina fai colazione con Nicoletta Braschi e Giorgio Armani è improbabile che tu…sì puoi avere uno spunto perché sei un pratese e certe cose non le dimentichi, ma insomma ti abitui alla vita milionaria. Tornerà in Italia un intellettuale come Pasolini? Io penso di no. Oppure succederà che a 90 anni Vasco Rossi capisca tutti gli errori della sua vita e come Tolstoj vada a fare il pastore? No, non succedono queste cose perché ci si abitua alla vita che conosci più da vicino. Questo non vuol dire che io vorrei un mondo più spartano, ma che prima di tutto vorrei che nel mondo si desse prima da mangiare e da bere a tutti e solo dopo, magari pensare allo sviluppo tecnologico. Mi indigno quando nessuno dice queste cose.


Eh già, ci sono grossi nomi che riempiono i Palasport, come Vasco Rossi, Gianna Nannini. Ma è da un po’ che cantano solo amore…

Be’ la Nannini, dico la mia, ha fatto un grande lavoro negli ultimi due anni e ha parlato d’amore in maniera talmente elevata da risultare politica. Si può fare politica parlando d’amore, in quel modo. Se invece penso a Vasco Rossi mi incazzo: ma come si fa? Non mi sento così saldo da dire “io in quella posizione farei qualcosa di diverso”. L’unica cosa certa è che io mi spingerei sempre al limite della mia possibilità di scrittura. A volte io l’ho toccato il mio potenziale massimo.

Quando è successo?

Be’ nella mia carriera credo di aver toccato questo limite nel “Sentimento delle cose”, “Amore santo e blasfemo”, “La schiena”. Ecco per me sono tre pezzi importanti.

E dei brani di 500 che ci dici?

500 è la storia di un’attesa. Un’attesa che è durata 500 giorni. Quando mi sono accorto che erano passati 500 giorni ho scritto il brano,e posso dire che è un altro pezzo importante per me. L’attesa è una cosa meravigliosa, è salvifica, carica di tensione e può essere anche malefica.

Attesa di cosa?
Di quello che ti dicevo prima, dell’amore assoluto.

Hai deciso di promuoverlo in maniera insolita: ti sei improvvisato cameriere prima del concerto, hai fatto un live via web tramite Livecast, concerti a sorpresa. Come mai?
Be’ questa promozione alternativa è frutto di una difficoltà che abbiamo nel trovare luoghi che ci facciano suonare. Dovrebbe essere normale: scrivo un disco, lo registro a mie spese, poi si va suonare in posti e si fa a sentire. Invece il problema che abbiamo noi, come altri artisti, è questo! Non riusciamo a trovare locali che ci ospitino e allora ti devi inventare delle cose. Mi piace l’idea di buttarla in vacca: camerieri, idraulici, marinai… spettacoli che fanno ridere, ma dove c’è una sottotraccia seria, sepolta dinanzi alla trivialità che noi cinque mettiamo in piedi quando facciamo ‘ste cose.Il problema è sempre quello: non è un problema di pubblico in Italia, ma un problema di attenzione dove alcuni fenomeni ne sovrastano altri: sarei felice se un giorno ci fosse una prova con Marco Parente, Vasco Rossi e Samuele Bersani cantassero davanti alla stessa platea e poi le persone scelgono che cosa vogliono. Pure col televoto! Partendo dal presupposto che abbiano la stessa popolarità.

Hai ragione, non è un problema di pubblico. Quando Fazio ha proposto buona musica, nella serata dedicata a De Andrè, lo share ha raggiunto livelli vicini a quelli di Sanremo. Con Fossati, Bersani, Bubola…
Certo mentre a Sanremo c’era Dolcenera.

E Pupo, Povia. Masini, per citarti tre dell’ambiente toscano, in cui ti muovi…

Il festival del Granducato di Toscana (ride, ndr)

Ma torniamo al Livecast. Non è un limite affidarsi a un canale pensato esclusivamente per internet? Oggi è impensabile, secondo me, ascoltare la musica sul web..

Certo che è un limite, ma cosa possiamo fare? Il mercato è dopato. Agli addetti ai lavori manca il coraggio! Io dico questa cosa non perché mi senta sminuito. Ho una restituzione talmente ampia, rispetto alla stima che alcune persone hanno nei miei confronti che travalica quello che io stesso penso di me! Ma è un peccato che un disco buono non venga promosso. Che ne so, penso a un gruppo di Città di Castello che si chiama Moleskine: ha fatto un disco intitolato “Penelope”, che secondo me è bellissimo. È terribile che esca un pezzo in più di Povia e nemmeno un pezzo da un disco del genere; questo mi dà noia. È anche vero che se all’Olimpiadi uno si dopa e fa i cento metri in otto e venti… dopo un po’ gli dici “hai rubato, fuori!”. Invece nella musica sembra che più ti dopi più vali.

Colpa anche della TV?
La tv, come diceva Pasolini, anche quando ti pare non impositiva è impositiva. E questo è un Paese che è diventato Paese grazie alla Tv. Non possiamo chiedere di più. Se ti vuoi muovere in questo Paese devi capire questa regola. Non c’è niente da fare.L’influenza della Tv è enorme. È un fenomeno generalizzato, tanto nel sud Italia che al Nord; pensa che l’anno scorso ero nell’estremo Nord dell’Italia e in una serata suonavamo con i Bastard Sons of Dionisos a Trento. Loro suonavano prima di noi. C’erano centocinquanta persone ad assistere, per lo più richiamati dal nostro gruppo. Al concerto che i Bastard hanno fatto quando sono usciti da X Factor, invece, erano in dodicimila. Questa è una follia da analizzare. Dodicimila persone in Trentino; pensa a un anno e mezzo fa! Sono stato a parlare con loro perché erano brillanti, bravi e carini come persone. Soprattutto si vedeva che erano amici che suonavano. Quella è la storia, ed è bello che questa storia affascini tutti gli altri, il problema è che l’interesse passa attraverso la scatola magica.

E il tuo rapporto con la TV?

Be’ io non mi trovo bene. Ora abbiamo fatto un’esibizione a Scalo 76. Per fortuna c’han fatto suonare dal vivo: pensa ci volevano far cantare in play back, cosa che non riesco proprio a fare. E comunque la Tv non mi piace. È come se io e te, ora, mentre stiamo parlando, mi fai la domanda e mentre io rispondo ti sbracci con un altro perché stai seguendo altre cose nello stesso tempo. Come faccio ad avere come interlocutore uno che ti chiede una cosa giusto per fare il suo palinsesto e poi si fa i cazzi suoi? In TV va sempre così! Due o tre anni fa su Rai Futura mentre noi eseguivamo i pezzi c’era una lite in studio: due che si mettevano le mani addosso. Chiaramente queste cose non le vede il telespettatore. Ma è chiaro che io non posso suonare in un contesto di quel tipo. Ma io me ne sto a casa mia! O in un locale dove la gente ti sta a sentire. Il fattore doping è da valutare. Se un manager fa delle scorrettezze dopo un po’ viene punito (ora, non in Italia, purtroppo. Con l’Italia non riusciamo neppure più a fare paragoni). A me succede questo: sia nel mainstream che nell’indipendente c’è talenti eccezionali, tanta ricchezza.

Sì, come abbiamo visto nel disco collettivo “Il Paese è Reale”. Lì è tutto perfetto. Canzoni, interpretazioni. Forse pecca la distribuzione. Qual è il punto di forza del progetto?
Mah.. sai, Manuel è diventato una persona potente, ma non come “potere” economico o di relazioni. Intendo potere come “forza”. Quando parla, adesso, ha un’autorevolezza. Le stesse parole dette da un’altra persona hanno meno del centocinquantesimo del senso. Manuel è diventato se stesso in maniera conclamata, come si dice in inglese, riuscito in quel “to express hisself”. Le stesse parole che ti dico io, se te le dice Amedeo Minghi un po’ ci crederesti e un po’ no. Giusto? Vuoi per il vissuto, vuoi per la credibilità che uno s’è guadagnato, le stesse parole suonano sempre diverse in bocca a persone diverse.

Eppure permangono dei problemi di diffusione della buona musica…

Già. Ma io non voglio cambiare la mia vita; la vita che ho mi soddisfa completamente. Sono innamorato dei dolori, dei tormenti che ho provato, come pure della gioia che sto vivendo. Mi dispiace solo che questa cosa di suonare non sia facile nemmeno per noi, per me che faccio questa cosa con coscienza da 15 anni!

E che hai un nome…

Be’ è una grossa fortuna. Dopo 15 anni uno non è che deve ancora dimostrare la bravura. Certe volte quando si fanno concerti si ha l’impressione che bisogna ostentare se stessi per essere. Non è questo il mio modo di suonare.

Non avevi anche un locale?

Eh sì. A Gargnano, sul lago di Garda. Dal 90 al 96. Andava bene finché non abbiamo cominciato a suonare. Da allora io e Michela, che stava con me, c’eravamo molto meno. Un locale funziona perché le persone che vengono sono affezionate alla parole che dici quando loro entrano, al rapporto che si crea. Metti poi che quando andavamo a suonare con gli Scisma, all’epoca si suonava gratis, ti pagavi due, tre giorni a Roma e in più dovevi pagare qualcuno che ti tenesse aperto il locale. Una salassata che era insostenibile. E poi io non sono un uomo commerciale. Io non ci so fare economicamente. Non ho quel metodo nel gestire le cose. Io sono capace che se devo pagarti, che ne so un affitto, lavoro 3 giorni dalla mattina alla sera per pagartelo, e poi riprendo a non lavorare.

Ti ritrovi di più nel ruolo del cantautore o produttore?

Dici cantautore? (ride, ndr). Bè, sì anche allora, con gli Scisma, erano solo più criptati i testi, ma scrivo sempre la stessa canzone (ride, ndr): “oddio come sono indegno di vivere questa vita che è meravigliosa”. È sempre la stessa canzone.

Sei anche un talent scout. Ci sono artisti che ti sono piaciuti e hai prodotto. Come è andata?

Per i Perturbazione è andata così: ho trovato Dante e Tommaso che è un’anima eletta, meravigliosa. Sono tutti in gamba. Il disco che ho fatto con loro poteva andare in un’altra direzione che era “tragica”. Invece, mediando, siamo andati in una direzione ricca di chiaroscuri. Sono abbastanza certo che se non avessimo fatto compromessi avrebbe preso ancora un’altra direzione. Il mio problema che non sono mai impositivo: io propongo e spero che in dodici ore la mia idea si possa sentire in maniera degna. Io non tolgo mai, anche se la musica è soprattutto “togliere”, come nell’amore, quando con la persona che ami non c’è niente da dire, ma guardi lo stesso paesaggio. La musica che cerco di fare io è questa. Come produttore cerco innanzitutto di evitare gli errori. Poi se uno vuol fare un errore lo fa. Io non sono educatore.Per Nordgarden, invece, che dire? Potrei dire della perfezione della sua scrittura. Scrive benissimo. È un rivoluzionario suo malgrado. Il vero rivoluzionario non è quello che adesso esce, prende l’autostrada al contrario e muore subito o ne ammazza venticinque. No, il rivoluzionario dice cose ovvie, ma in contrasto col padre; è colui che spezza il tabu ma con la voce del padre. Terje (è il nome di battesimo di Nordgarden, ndr) è così. La rivoluzione è quella di Jim Morrison che dice “Mother I want to fuck you” con la stessa voce di Frank Sinatra (perché se tu non sai niente e togli da quel pezzo dei Doors tutta la letteratura, l’arrangiamento, etc… senti solo la voce: è quella di Frank Sinatra, nello stesso momento storico). Rivoluzionari quasi in maniera conservativa. Nordgarden è un grande talento dell’emozione. Quando ci siamo incontrati Terje stava facendo letteratura su di sé: “quanto sono sfortunato, quanto sono tormentato, quanto sono bravo”. Un po’ aveva questa cosa. Adesso è diverso: ha capito quello che doveva capire. Nel disco che ho prodotto io, allora in maniera più vivace, ho protestato su alcune cose, ho cercato di proporre alcune cose, evitare quelli che ritenevo fossero errori. A distanza di qualche anno è una bella soddisfazione rivederlo e sentirgli dire: mi piacerebbe fare qualcosa insieme ancora.

La farete?

Spero di sì, se ha tempo lui e se posso io. Se troveremo il modo!

Ce ne sono altri che ti piacerebbe produrre?

Ora sto producendo un gruppo importante per la musica italiana e anche per quella europea se c’è qualcuno che ci crede. Si chiamano Vandemars e sono di Siena. È un gruppo incredibile. Silvia Serrotti è la cantante più emozionante che abbia sentito in Italia. Non ce n’è per nessuno.

Neanche per Mina? Sentivo il suo nuovo CD e devo dire che possiamo anche farci venire dei dubbi su alcune scelte artistiche, ma la voce e la capacità di interpretare che vengono fuori da quel CD sono davvero un altro mondo…

Se devo parlare di Mina, guarda, posso dirti che c’è stato un momento in cui era dentro le canzoni che cantava e cioè poco prima di lasciare le scene, quando era un persona in disordine e cantava cose scritte da persone altrettanto in disordine. Perchè anche Mogol non era certo quello di oggi.

Mogol, il grande autore di Battisti, ma anche l’autore di “Essere una donna” della Tatangelo. Io credo che Mogol abbia avuto un grosso problema: ha scritto cose bellissime con Battisti, ma per tutti l’artista era Battisti. È stato un grosso problema per lui. Perciò quell’uomo ha ancora un sacco di rivalsa; è una storia velenosa questa. Magari mi sbaglio.Ora scrive per soldi, per visibilità. Non gliene frega un cazzo: come dire “ah sì, ho scritto le cose delle mia vita, le cose più belle, i miei amori, i miei tradimenti, quando sono stato tradito e voi dite ‘che bravo Battisiti’? Lo sapete che? Mi sono rotto i coglioni di voi mondo di merda che non capisce un cazzo, e posso scrivere qualsiasi idiozia e vendo 100.000 copie. È il problema dell’uomo quando pensa di essere troppo intelligente. E’ orrendo tutto questo…

Tu sei cresciuto molto musicalmente in Toscana. Parlaci di Firenze, del suo ambiente musicale.

Firenze è un’occasione persa. Tira la stessa aria che c’è c’è in Comune, in Provincia. Ci sono cose conclamate che permangono dall’82. Ma non è solo Firenze. Anche Bologna. Pensa alla creatività che arriva a Bologna con il Dams: dall’82 non esce un gruppo da Bologna e gli ultimi che sono usciti sono gli Skiantos. Anche Milano, una città mitteleuropea per eccellenza: l’ultimo gruppo che ha una certa intensità sono gli Afterhours, ma consideriamo che Manuel è di Abbiate Grasso, e non è un particolare. Perché tutta questa creatività va nel cesso? Le risposte che mi vengono sono essenzialmente due: la mamma, che ci tiene nelle braccia fino a 50 anni, e ci rende incapaci di fare scelte autonome e poi il fatto che ancestralmente il nostro è un popolo di codardi.

Gli esseri buoni

“Gli esseri buoni” è dedicata a mia madre, a mio padre, ai miei nonni e a tutte le persone che mi hanno lasciato un’eredità nel cuore. A quelle anime che non hanno più un corpo umano, ma che instancabilmente continuano a lavorare sotto molteplici forme nell’amore, per l’amore. È una canzone sulla fiducia in quella parte di vita che sin da bambini abbiamo imparato a conoscere come bene e che credo sia il nostro destino.È anche l’augurio che gli esseri buoni di questo pianeta possano riconoscersi e allearsi per rendere più agevole questo cammino.

Sono convinto
Che nel mio cuore
Ci sono tanti
Esseri buoni
Che si contendono le soluzioni
Atte a salvare l’umanità

Sono convinto
Che dietro i miei occhi
Ci son macchinisti forti ed esperti
Che mi proteggono dalle perversioni
E mi consegnano solo bellezza

Per questo mi affido
Alle anime antiche
Che son passate nella vita mia
E mi hanno amato
Come hanno potuto
Con i loro esseri buoni
Con i loro esseri buoni

Sono convinto
Che sotto i miei piedi
Ci sono milioni di esseri forti
Che mi sostengono
Lungo il cammino
E mi riportano sulla retta via

Per questo mi affido
Alle anime antiche
Che son passate nella vita mia
E mi hanno amato
Come hanno potuto
Con i loro esseri buoni
Con i loro esseri buoni

Sono convinto
Che nel mio cuore
Ci sono tanti
Esseri buoni
Che si contendono le soluzioni
Atte a salvare me e l’umanità

Il dolore e il compianto

Ieri passeggiando nella Galleria Palatina sono stato attirato dalla “Deposizione” di Perugino. Sono stato tantissime volte in quel museo, ma è la prima volta, forse, che ci torno da orfano. E comunque la prima volta che torno dopo tanti lutti: la morte dei miei genitori, dei miei ultimi zii, della mia cara amica.

E forse per questo stavolta il dipinto mi ha catturato come non mai. Un quadro corale che ti chiede di essere parte di quel lamento collettivo. C’è la morte e c’è l’amore (della madre, degli amici) che si trasforma inevitabilmente in dolore. Ma quello che ho appreso stando davanti a queste figure è che il dolore è sempre un’esperienza individuale.

Ogni personaggio vive il suo proprio dolore. Giuseppe D’Arimatea (in basso a destra) commosso, dovrebbe sorreggere il sudario, ma non riesce a staccare lo sguardo dalla figura di Cristo morto; Nicodemo (in basso a sinistra) al contrario guarda altrove pur di non subire quella stessa commozione. Una tristezza che invade tutto il dipinto. Da San Giovanni apostolo (in piedi a sinistra), alle tre figure in piedi a destra, che cercano una comunicazione, ma non la trovano, perché quel dolore è totalizzante, non narrabile, e individuale come dicevo. Maddalena al centro non si limita al lamento o alla preghiera come le altre donne ma interpreta il dolore di tutti in un gesto teatrale di sgomento e sconforto. La città dietro, fortificata e lambita da acque, serve solo a ricordarci che l’esperienza è di questo tempo, nella nostra società, nel nostro quotidiano.

Lo stesso evento, la morte di Cristo, è vissuto in maniera diversa da ciascuno. Nessuno conosce il dolore dell’altro. Eppure ammirare questo dipinto è come entrare in un abbraccio, in un conforto umano. Il dolore è un’esperienza individuale, ma il compianto ci rende vicini e allevia il senso di solitudine e di vuoto che scaturisce da un abbandono.

PS

Grazie Valentino per avermi riportato lì.

Una goccia

Sono una goccia del cielo
sono caduta quaggiù
e mi ha raccolto una foglia
prima di scendere
alle radici di un faggio
tra muschi, batteri e licheni
con la terra brunita
io sono, io dono la vita

Sono una goccia del mare
mi ha trasportato qui il vento
insieme alle mie sorelle
formo la schiuma e le onde
ma il blu che tu vedi
è solo il riflesso del cielo
nella massa infinita
io sono io dono la vita.

Sono una goccia del cuore
e cado calda dagli occhi
porto con me fuoco e sale
prima di asciugarmi al sole
E trasformo emozioni
in una visione schiarita
un richiamo d’amore
io sono ed esprimo la vita

Sono una goccia del cuore
mi scioglierò dentro il mare
sono una goccia del mare
e salirò verso il cielo
sono una goccia del cielo
e tornerò
alle radici di un faggio
tra muschi batteri e licheni
con la terra brunita
io sono io dono la vita

Sono una goccia del cielo
solo una goccia del cielo
Sono una goccia del cielo
solo una goccia del cielo
Sono una goccia del cielo
solo una goccia del cielo

Crediti:
Testo e musica di Nicola Cirillo, arrangiamenti di Phil De Laura

Nicola Cirillo – Voci
Francesco Rainero – Chitarra acustica
Leonardo Amar Dhyan Singh – Dholak
Filippo ‘Phil” De Laura – Percussioni, basso fretless, chitarre elettriche, ebow, violoncelli.

L’immagine della copertina è dell’artista Maria Giulia Terenzi

L’emozione di una goccia

Il prossimo 14 dicembre (il 13 notte per l’esattezza) uscirà “Una goccia”, il mio primo singolo.

È una canzone scritta a luglio di quest’anno e non sapevo se pubblicarla. Ho avuto tante resistenze perché sono immerso nella musica da quando ero bambino, ne sono affascinato e nutro una forte ammirazione per i musicisti e gli interpreti. L’idea di occupare quello stesso spazio ovviamente mi intimorisce. Intanto ho il piacere di condividere la copertina, opera di Maria Giulia Terenzi, un’artista bravissima e ispirata. La dolcezza e la delicatezza dei suoi disegni sono il modo con cui guarda la vita. Con lei nel centro Pardesa ho condiviso un percorso di silenzio interiore e di apprendimento della permacultura, due elementi fondamentali per la creazione di questo brano. Sono davvero felice che abbia accettato il mio invito. Se volete potete salvarla nelle vostre librerie digitali già da ora, seguendo questo link. Una goccia. 14 dicembre ❤️

Dreaming to travel

Finalmente la musica, mi verrebbe da dire. Finalmente il suono.

“Dreaming to travel” è un disco strumentale in cui hanno suonato solo due musicisti, Filippo “Phil” De Laura e Andrea Filippucci, che ne sono anche i compositori e produttori, ma a suonare sono decine di strumenti: root tar, banjola, charango, chitarra portoghese, pedal steel guitar, chapman stick, cavaquinho e tanti altri, uno scrigno di gemme preziose. Il risultato è pura magia. Anche se i 10 brani che compongono il progetto richiamano stili e epoche diverse c’è un tema che li lega indissolubilmente, ed è l’amore per il suono curato, accarezzato e infine lasciato fluire. Abbandonarsi all’ascolto con gli occhi chiusi è un’esperienza emotiva, ma anche fisica, come un respiro consapevole, come una meditazione.

L’inedito duo si presenta come “The vela”. E’ il loro primo album e hanno realizzato un piccolo miracolo. Lo trovate su spotify e sulle principali piattaforme.

Verde è il colore del cuore

Molti dicono che è rosso. Ma in questi anni mi sono persuaso che il cuore è verde, per tante ragioni. L’ho scritto in una canzone che ha una sua melodia, ma intanto condivido il testo.

Verde è il colore del cuore

Verde è il colore del cuore
come distese di erba
che al vento dolce si muove
e accoglie la sua presenza
Verde è il colore del cuore
come licheni su un sasso
sul quale scivola il fiume
in ogni istante diverso
Dentro un bagliore risplende
luce confonde la mente
verde speranza e paziente
batte il mio cuore
Verde è il colore del cuore
come di un albero antico
trasforma l’aria e profonde
vita a chiunque respiri
Verde è il colore del cuore
come un germoglio che nasce
come una foglia che cresce
batte il mio cuore

Cambiamento climatico? I numeri dicono di sì

La guerra tra “terroristi del clima” e “cospirazionisti” se non altro ci stimola ad analizzare i dati con maggiore obiettività. Sono andato a spulciare i dati storici del portale meteo.it e per comodità mi sono concentrato su una città, Roma, in 6 periodi distanziati di dieci anni: luglio 1973, luglio 1983, luglio 1993, luglio 2003, luglio 2013 e luglio 2023.

Ciò che emerge è inequivocabile. Nel corso di questi ultimi 50 anni la temperatura è effettivamente aumentata, sia considerando la temperatura media, che quella minima o massima.

Ho riportato i dati su dei grafici dai quali il confronto è facile e impietoso. Per avvicinarci ai 40 gradi toccati da Roma il 18 luglio 2023, ad esempio, dobbiamo andare al 2003, dove però i gradi erano 34, ben 6 in meno!

Lasciati amare (testo e accordi)

Fa La-

Uh Ah Uh

Fa La-

Uh Ah Uh

Fa   Sol   La-

Uh uh uh

Fa   Sol   La-

Nai na na nai na

      Fa

Lasciati amare

La-

Così come sei

Fa Sol

Lascia che il cuore si apra al cuore

    La-

Di chi ti ama

Fa

Così come sei

Sol

Così come sei

La-

Così come sei

Fa Sol

Lascia che il cuore si apra al cuore

    La-

Di chi ti ama

Fa La-

Uh Ah Uh

Fa La-

Uh Ah Uh

Fa   Sol   La-

Uh uh uh

Fa   Sol   La-

Nai na na nai na